Questione
giuridica n. 1
DANNO
DA DIFFAMAZIONE A MEZZO STAMPA
Un
giornale locale pubblica un articolo il cui titolo contiene un predicato teso a
descrivere sinteticamente il fatto accaduto, senza tuttavia accertare
l’effettivo svolgimento dei fatti.
Nel
titolo dell’articolo in questione e nel contenuto di quest’ultimo si faceva
largo utilizzo di un termine , la cui gravità e pesantezza poteva ben reggere alla
luce dei fatti narrati se, solamente, questi avessero avuto una certa
corrispondenza a verità.
Le
dichiarazioni di cronaca riportate non rispondevano quindi a verità e, di
conseguenza, Caio, il giornalista che aveva scritto l’articolo, non aveva
esercitato legittimamente il c.d. diritto di cronaca.
Il diritto di cronaca (e di critica) è
la libertà di diffondere attraverso la stampa notizie e commenti, anche lesivi
della reputazione, sancito in linea di principio dall’art. 21 Cost. e regolato
dalla L. 8 febbraio 1948 n. 47.
Esso è considerato legittimamente
esercitato dalla ormai consolidata giurisprudenza di legittimità quando
ricorrano le seguenti condizioni: a) utilità sociale dell’informazione; b)
verità dei fatti esposti, che non è rispettata quando, pur essendo veri i
singoli fatti riferiti, siano dolosamente o anche solo colposamente, taciuti
altri fatti, tanto strettamente collegati ai primi da mutarne completamente il
significato; c) forma civile dell’esposizione, cioè non eccedente rispetto allo
scopo informativo da perseguire, improntata a serena obiettività, almeno nel
senso di escludere il preconcetto intento denigratorio e, comunque, in ogni
caso rispettosa di quel minimo di dignità cui tutti hanno diritto (continenza).(Cassazione
civile, sez. III, n. 6973 del 22 marzo 2007)
Tizio,
il cui nome rappresentava il soggetto
del fatto narrato nell’articolo, si vede quindi leso della sua reputazione personale e professionale in quanto l’articolo
che lo riguardava risultava oltremodo diffamante in quanto minava la sua
affidabilità professionale e la sua
reputazione personale.
Si
trattava quindi del c.d. “danno da diffamazione a mezzo stampa”.
Per
la ormai consolidata giurisprudenza di legittimità, in tema di diffamazione a
mezzo stampa sussiste, da parte del giornalista, legittimo esercizio del
diritto di cronaca solo allorchè sia rispettata, tra le altre, la condizione
essenziale della “verità della notizia”, quale frutto di un serio e diligente
lavoro di ricerca delle notizie. Verità
che non sussiste quando, pur essendo veri i singoli fatti riferiti, siano
dolosamente o colposamente taciuti altri fatti, tanto strettamente
ricollegabili ai primi da mutarne completamente il significato (Cassazione civile, sez. III, n. 1205/2007 e
n. 6973/2007 e Cassazione penale, sez.V, n. 42067/2007).
In
virtù del serio e diligente lavoro di ricerca delle notizie, Caio non aveva
provveduto, come di dovere, a contattare Tizio per accertare la veridicità
della notizia.
Sulla
figura del giornalista, infatti grava l’obbligo di accertare con cura e
diligenza l’attendibilità delle fonti utilizzate (Cassazione civile, sez. III, n. 11259 del 16 maggio 2007)
Inoltre,
nel caso in questione, nonostante fosse stato unico il fatto-reato che aveva
prodotto il danno, ne ripondevano più persone, anche se per titoli di reato
diversi.
In
virtù dell’art. 57 c.p., responsabile in solido con Caio, giornalista autore
dell’articolo incriminato, ne risultava anche Sempronio, il direttore
responsabile del giornale che aveva consentito a chè l’articolo venisse
pubblicato.
In
tale evenienza, la solidarietà si giustifica in forza dell’art. 2055 c.c.
perché alla pubblicazione dell’articolo - fatto unico produttivo del danno –
hanno concorso le condotte – commissiva l’una e omissiva l’altra – di due
diversi soggetti, pur se a diverso titolo. (Cassazione
penale, sez. V, 18 gennaio 2007, n. 18656)
In
conclusione, Tizio sporgeva giusta querela nei confronti di Caio e Sempronio
per i danni subiti.
Francesco D.
06.06.2011
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