QUESTIONE
GIURIDICA N.2
Iscrizione all’albo dei consulenti tecnici del Tribunale quale
elemento integrativo della legittimazione al rilascio del permesso di porto
d’armi.
Tizio, titolare di un’impresa che si
occupa della vendita e riparazione di pianoforti, a seguito di
continue minacce alla propria persona ed alla propria famiglia - perpetrate per
telefono e per lettere anonime - per
effetto diretto degli elevati profitti che la sua attività era in grado di generare,
decide di inviare presso la prefettura di competenza, istanza di rilascio di
porto di pistola per difesa personale.
Avverso tale richiesta viene emanato
decreto prefettizio con cui si nega detta autorizzazione in quanto risultavano
assenti quegli elementi tali da dimostrare la sua attuale esposizione a rischio
per l’incolumità fisica, al fine di giustificare di per sé il rilascio
dell’autorizzazione.
Dunque il pericolo di danno
all’integrità fisica della persona del richiedente e suoi familiari, a seguito
di minacce telefoniche ed epistolari anonime, sembrava non essere idoneo - o
comunque sufficiente - per giustificare il rilascio del permesso in questione.
Tuttavia, il decreto prefettizio con
cui si respingeva l’istanza, ed il rigetto stesso, si fondava su di un
presupposto che, nel caso di specie, risultava mancante: infatti, se la legge
prevede che “il rigetto va disposto”
(leggasi “il potere discrezionale dell’amministrazione va esercitato”) qualora sussistano elementi tali da poter
prevedere un uso improprio dell’arma da parte del richiedente , allora nel
caso in questione il sig. Tizio, non possedendo alcun elemento tale da poter far
presumere un uso improprio dell’arma, risultava pienamente legittimato a
vedersi concedere il permesso di porto d’armi.
Ma vi è di più, Tizio risultava
iscritto presso l’albo dei consulenti tecnici del Tribunale per cui, in
aggiunta all’assenza di elementi tali da negare il permesso richiesto, vi erano
quei requisiti che l’iscrizione all’albo suddetto richiedeva per l’esercizio
della consulenza tecnica: alla stregua dell’art. 15 delle disp. att. Cod. proc.
civ. infatti possono ottenere l’iscrizione nell’albo coloro i quali, tra gli
altri requisiti, siano di specchiata condotta morale.
Relativamente a questo importante
requisito, il riferimento della norma in questione è da leggersi come generale
condotta morale e quindi, in concreto, formano condizioni limitanti i casi di
condanne penali e civili, l’irrogazione di sanzioni disciplinari e
amministrative per fatti non inerenti l’incarico di CTU, ma che possono
incidere sull’esercizio della professione
o che comunque denotano, in chi le ha subite, spregio della legalità o
mancanza di senso civico.
Ora, ai sensi dell’art. 39 r.d. 18
giugno 1931 n. 773, può essere vietata la detenzione delle armi a quanti
ritenuti capaci di abusarne. I provvedimenti di autorizzazione del porto di
armi postulano quindi che : <<..il destinatario sia indenne da mende o da
indizi negativi, osservi una condotta di vita improntata a puntuale osservanza
delle norme penali e di tutela dell’ordine pubblico, nonché delle comuni regole
di buona convivenza civile, sì che non possano emergere sintomi e sospetti di
utilizzo improprio dell’arma in pregiudizio ai tranquilli ed ordinati rapporti
con gli altri consociati>> (Sentenza n. 8220 del 24.11.2010 del Consiglio di Stato, Sezione sesta).
Di conseguenza, come è evidente notare,
i due impianti legittimanti – quello dei requisiti per l’iscrizione all’albo
dei CTU e quello dei requisiti per il rilascio del permesso di porto d’armi - combaciano
perfettamente sicché il sig. Tizio poté presentare, con piena cognizione di causa, un
ricorso gerarchico al ministero dell’interno avverso il rigetto della sua
originaria richiesta di permesso di porto d’armi.
Francesco D.
05.09.2011
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